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Quand même – Nonostantetutto
TeatroQuand même – Nonostantetutto – 2010
di Andrea Ferrari
Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, Sarah Bernhardt. Sono questi i nomi dei protagonisti degli eventi descritti nello spettacolo. Un dramma che si avvale anche della lingua madre di uno dei personaggi. Il titolo si rifà ad un motto che la grande attrice francese adottò come sua asserzione preferita, come slogan personale per sottolineare la sfida, l’ironia, la forza e la determinazione grazie ai quali affrontò l’intera sua vita: Quand même. Come intorno al d’Annunzio si sono create leggende, così anche accanto alla Bernhardt sorse la stessa aura di mito: un mito che lei ha creato, che lei ha voluto, immedesimandosi talmente nei personaggi, da essere lei stessa uno di loro, quasi una protagonista in più, nelle opere teatrali che andava a mettere in scena. C’è la testimonianza di due drammaturghi dell’epoca: Alexander Dumas figlio e George Bernard Shaw. Elemento d’intersezione è la divina Eleonora Duse. Un’altra grande attrice dell’800. La donna che, forse, da un lato, ha più sofferto e si è soggiogata alla figura del Vate perché profondamente innamorata, dall’altro, per la sfida concorrenziale, che correva tra le due attrici. Perno della contesa è l’opera teatrale La ville morte – La città morta, scritta da d’Annunzio, inizialmente pensata per la Duse, e poi lasciata nelle mani, nell’interpretazione, nella voce della Bernhardt. E’ un dramma che ripropone il mondo ellenico durante una spedizione di scavi: protagonisti sono quattro personaggi, tra i quali un archeologo, che nel visitare le tombe degli atrìdi, e contemplandone i cadaveri non ancora decomposti, è sconvolto da un’esalazione maligna che quei morti effondono. Questo evento sfocia nella tragedia: egli impazzisce d’amore per la sorella e riuscirà a liberarsi da questo sortilegio solo dopo averla uccisa. La morte come elemento risolutivo, che trova fondamento nella teoria del Superuomo di Nietzsche, ma che celebra alcuni degli atteggiamenti classici del Decadentismo, a cui d’Annunzio appartiene: l’evocazione di un Oriente misterioso, e il gusto per l’esoterico, per l’occulto. Quand même, è uno spettacolo poliedrico: guarda al “romanzo epistolare”, uno scambio di corrispondenza tra d’Annunzio e la Bernhardt, ma che utilizza la “metateatralità” cioè il teatro nel teatro, calandosi nell’epilogo del dramma sopra citato. La pièce si avvale, inoltre, di una coreografia scenica a ritmo di tango argentino: il tango rappresenta, per l’autore, la tristezza in movimento. Una ricerca e uno studio durati quasi due anni, nell’intento di far emergere la figura dello scrittore pescarese, non solo come poeta e drammaturgo ma anche come esponente di quel movimento che, come Oscar Wilde, ne ha segnato l’esistenza nel far coincidere l’Arte con la Vita: il Decadentismo.
Quand même – Nonostantetutto (2)
TeatroQuand même – Nonostantetutto – 2010
di Andrea Ferrari
Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, Sarah Bernhardt. Sono questi i nomi dei protagonisti degli eventi descritti nello spettacolo. Un dramma che si avvale anche della lingua madre di uno dei personaggi. Il titolo si rifà ad un motto che la grande attrice francese adottò come sua asserzione preferita, come slogan personale per sottolineare la sfida, l’ironia, la forza e la determinazione grazie ai quali affrontò l’intera sua vita: Quand même. Come intorno al d’Annunzio si sono create leggende, così anche accanto alla Bernhardt sorse la stessa aura di mito: un mito che lei ha creato, che lei ha voluto, immedesimandosi talmente nei personaggi, da essere lei stessa uno di loro, quasi una protagonista in più, nelle opere teatrali che andava a mettere in scena. C’è la testimonianza di due drammaturghi dell’epoca: Alexander Dumas figlio e George Bernard Shaw. Elemento d’intersezione è la divina Eleonora Duse. Un’altra grande attrice dell’800. La donna che, forse, da un lato, ha più sofferto e si è soggiogata alla figura del Vate perché profondamente innamorata, dall’altro, per la sfida concorrenziale, che correva tra le due attrici. Perno della contesa è l’opera teatrale La ville morte – La città morta, scritta da d’Annunzio, inizialmente pensata per la Duse, e poi lasciata nelle mani, nell’interpretazione, nella voce della Bernhardt. E’ un dramma che ripropone il mondo ellenico durante una spedizione di scavi: protagonisti sono quattro personaggi, tra i quali un archeologo, che nel visitare le tombe degli atrìdi, e contemplandone i cadaveri non ancora decomposti, è sconvolto da un’esalazione maligna che quei morti effondono. Questo evento sfocia nella tragedia: egli impazzisce d’amore per la sorella e riuscirà a liberarsi da questo sortilegio solo dopo averla uccisa. La morte come elemento risolutivo, che trova fondamento nella teoria del Superuomo di Nietzsche, ma che celebra alcuni degli atteggiamenti classici del Decadentismo, a cui d’Annunzio appartiene: l’evocazione di un Oriente misterioso, e il gusto per l’esoterico, per l’occulto. Quand même, è uno spettacolo poliedrico: guarda al “romanzo epistolare”, uno scambio di corrispondenza tra d’Annunzio e la Bernhardt, ma che utilizza la “metateatralità” cioè il teatro nel teatro, calandosi nell’epilogo del dramma sopra citato. La pièce si avvale, inoltre, di una coreografia scenica a ritmo di tango argentino: il tango rappresenta, per l’autore, la tristezza in movimento. Una ricerca e uno studio durati quasi due anni, nell’intento di far emergere la figura dello scrittore pescarese, non solo come poeta e drammaturgo ma anche come esponente di quel movimento che, come Oscar Wilde, ne ha segnato l’esistenza nel far coincidere l’Arte con la Vita: il Decadentismo.
Un marito ideale
TeatroUn marito ideale – 2011-2012
di Oscar Wilde
Questa “commedia di costume” scritta da Oscar Wilde, venne rappresentata per la prima volta a Londra nel 1895. La vicenda si consuma, essenzialmente, nella casa di Sir Robert Chiltern, in Grosvenor Square. Egli è il marito ideale che unisce al benessere, un’invidiabile posizione sociale per l’affermato ruolo di uomo politico, con mansione di Sottosegretario agli Affari Esteri. Sir Robert ha accuratamente costruito la sua carriera su una truffa operata molti anni addietro, prima di sposarsi, vendendo, per un’ingente somma, segreti governativi e arricchendosi a spese del Paese. L’uomo è sposato con Gertrude e la coppia è un modello invidiabile di convivenza. E’ in corso un ricevimento in casa Chiltern, e una delle ospiti è l’affascinante Mrs Cheveley, donna priva di scrupoli, in possesso di una compromettente lettera che Lord Chiltern scrisse in passato ad un influente uomo di potere. La donna minaccia Sir Chiltern di rendere pubblica la missiva, se egli non appoggerà alla Camera dei Lords una causa che le permetterebbe un interesse economico. Tra gli altri anche Lord Gorin, un dandy perditempo e mondano, molto amico di Robert, con un trascorso di amante di Mrs Cheveley. Lady Chiltern è ignara del corrotto passato del marito e questi teme di perdere, oltre all’onore di fronte al Paese, anche l’amore della moglie che sa essere di rigidi princìpi morali. Robert non vuole piegarsi al ricatto di Mrs Cheveley ma Gertrude viene a scoprire l’antefatto proprio dalla donna. Lady Chiltern, in preda a disperazione ricorre all’aiuto di Lord Gorin, scrivendogli un biglietto che, per un caso fortuito, finisce nelle mani di Mrs Cheveley che era andata a far visita al suo ex amante: le poche righe vengono interpretate e vendute come una segreta relazione tra Lord Gorin e Lady Chiltern. Fulcro della vicenda è il ritrovamento di una spilla che Lord Gorin trova a casa dei Chiltern, e persa proprio dalla Cheveley. L’uomo le mostra il gioiello e l’accusa di furto, in quanto era il regalo di Gorin, a sua cugina, per le nozze, alla quale, la Cheveley l’aveva sottratto. La denuncia scatterà se la ladra non gli consegnerà la lettera incriminata e che, libererebbe l’amico Robert dall’incubo in cui è precipitato. Mrs Cheveley accetta lo scambio, sapendo che una denuncia le provocherebbe guai con la giustizia e Gorin può così bruciare la lettera liberando l’amico dall’ombra oscura del passato. Ora, però, rimane l’affare del biglietto che la donna riesce a far pervenire a casa Chilter: Sir Robert ne viene a conoscenza ma concentrato sul suo avvenire, interpreta il contenuto come un aiuto della propria moglie, senza male interpretarlo. Robert, ancora all’oscuro degli sviluppi, ha deciso di abbandonare la vita politica visto l’evolversi dei fatti, ma la moglie, dopo un severo confronto con Lord Gorin, lo esorta a rinunciare alla sua decisione visto che della lettera non è più nessuna prova. Sir Chiltern accetta, così, un posto più prestigioso nel Governo e recupera il rapporto con la moglie. Il personaggio di Lord Gorin è un vero e proprio “deus ex machina” dell’intera opera, e la sua mondanità, pur pervasa di cinismo, aforismi e paradossi, lo porta, comunque, ad essere e a mantenere il forte legame d’amicizia con Robert. L’epilogo è dato da un fatto di cronaca rosa: il matrimonio di Lord Gorin con Lady Mabel, la sorella di Robert.
La Marescialla
TeatroLa Marescialla – 2011
di Andrea Ferrari
Liberamente tratta da “Il Misantropo e lo Spazzacamino”
di Eugène Labiche.
Saggio allievi 3° anno laboratorio di Didattica Teatrale
Commedia brillante in due atti, liberamente tratta da “Il Misantropo e lo Spazzacamino” di Eugène Labiche, scritta nel 1852. Rivisitato in versione femminile col titolo de La Marescialla, il testo affronta il concetto della “verità” visto attraverso gli occhi della misantropia, dell’avarizia, dell’invidia, incastonati in una ricca donna nubile che deve difendersi da una vita che, a suo dire, è menzognera e fallace. Una paura ancestrale che le divora l’animo, non le fa chiudere occhio, non la fa mangiare, la priva di cure del proprio corpo e la mette sempre in condizione di allerta e continua sorveglianza della casa: perdere il controllo di sé e delle cose che la circondano. Un umorismo ed ilarità amari che scaturiscono da una sofferenza di ordine sociale; gli uomini, come razza umana, si ingannano tra loro: non c’è categoria al mondo che non s’imbrogli: fratelli, domestiche, suore. Il potere e la ricchezza hanno modificato (o forse si sono ben imperniati) su una personalità che l’intera Parigi è conscia essere repellente al genere umano, alla famiglia, ai bambini e che, per un doppio gioco messo in piedi dagli altri protagonisti, si ritrova a sostenere ed appoggiare, addirittura con una gravidanza attuata, pare, da un sarto omosessuale. Il comico nasce dai repentini cambi di carattere che i personaggi fanno subire, forzatamente, alla Marescialla e tutto nasce dalla perdita dei propri denari, come ci insegna bene Molière con l’indole di Arpagone ne “L’Avaro”. C’è uno stile ed un ritmo algidi, precisi che sono caratteristici di Labiche, il padre della pochade e capostipite della commedia francese che va Feydeau a Luois De Funes, passando per Fernandel. Vivacità ed armonia si fondono in un testo altamente ricco di trovate, di incomprensioni, di nonsense che mirano ad un epilogo che riporta tutto alla normalità, come se non fosse successo nulla. L’opera rispecchia a misura d’arte, l’andamento della commedia classica greca e romana: non è successo nulla ma c’è stata sofferenza. La Marescialla è la metafora che dipinge un potere subordinato: un sottufficiale che, nel suo piccolo, tiene a governo i suoi soldati ma, che a sua volta, è tenuta a freno e comando dalle insidie della vita, veri Ufficiali, Generali che dominano, reggono e comandano tutto il genere umano.
La sposa reclusa
TeatroLa sposa reclusa – 2011
di Andrea Ferrari
Parigi e Sheitu. Due poli opposti che si fondono in una medesima realtà: una città che pulsa, vive, esiste perché esiste l’uomo e ne fagocita i più deboli; una giovane donna, che pulsa, vive, esiste, perché esiste una famiglia che ne fagocita il sesso. Luogo e nome fittizi per testimoniare una vicenda vera: una ragazza marocchina, nata in Francia ma allevata con tradizioni, usi e costumi della terra d’origine dei genitori. Il difficile limbo dell’integrazione: il rapporto tra l’occidente e la cultura medio-orientale. Libertà e imposizioni, evasioni e sottomissioni, desiderio di morte come risposta alla subordinazione. Il ruolo di giovani donne nord africane che devono accettare obblighi e dipendenza non solo di una cultura maschilista, ma finanche da figure di anziane matriarche che impongono servilismo con rassegnazione e silenzio. La ribellione comporterebbe ripudio, allontanamento dalla famiglia, dai genitori, dal proprio Paese, dalle compagne che invece accettano passive: ma rimane pur sempre un desiderio anelato, quella ribellione. Lo spettacolo vuole fare emergere lo stato psicologico di Sheitu che interpreta e porta su di sé un malessere vivo, presente in tante giovani donne marocchine. E’ una testimonianza senza presa di posizione. Quello che stupisce è l’alta consapevolezza di accettazione di quel mondo, che sfiora il martirio psicologico: il completo sfacelo della propria personalità. Sembra non esserci via di fuga: Sheitu passa una miriade di crude esperienze che si perpetrano a domino nella sua vita, in un’età giovanile: la figura paterna, il branco dei fratelli, l’indifferenza della propria madre: di colei che è, sessualmente simile a lei ma che è così distante da lei. Nemmeno da un suo simile riesce a trovare complicità. Questi eventi la segneranno a vita, ma colpisce come lei riesca a portare rispetto sempre e comunque verso la persona: verso l’essere umano inteso come tale. C’è una sofferenza d’animo che la innalza e tutto questo ripercorre lo schema della tragedia greca. Le testimonianze sono verbali e coreografiche: la parola e il corpo che si fondono, che vanno ad esprimere, in tutta la loro forza e vitalità, grazie ai loro interpreti, il gradiente sentimentale di quelle esperienze e presa di coscienza.