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La parola – Terzetto spezzato – Le ire di Giuliano
TeatroLa parola – Terzetto spezzato – Le ire di Giuliano – 2008
Tre atti unici di Italo Svevo
Saggio allievi 3° anno laboratorio di Didattica Teatrale
Il triestino Hector Aron Schmitz, in arte Italo Svevo (1861-1928), rappresenta un’eccezione nel panorama letterario di fine ‘800 e primo ‘900. Di origine ebraica, la sua formazione è avvenuta su testi del Middle europeo, da qui anche la sua vicinanza con la psicanalisi di Freud. Grazie ad opere di successo come Una vita (1892), Senilità (1898) e La coscienza di Zeno (1923), Svevo, alla maniera del Manzoni o del D’Annunzio, è stato un autore che ha scritto anche per il teatro, per questo è conosciuto più come romanziere che non come drammaturgo. Terzetto spezzato, La parola, Le ire di Giuliano, sono stati scelti proprio perché poco rappresentati e conosciuti. Con questo lavoro, che va a chiudere un percorso durato tre anni, i tredici allievi si confrontano con tre opere di non facile esposizione e di profonda analisi. Sono due gli elementi che accomunano i tre suddetti atti unici, come la maggior parte delle opere di Svevo: 1) la rappresentazione dell’ambiente. L’aver vissuto in una Trieste impiegatizia, commerciale e plebea, ha portato l’autore ad usare questa realtà come specchio per chiarire i complicati e opposti moti della coscienza dell’uomo. 2) I protagonisti sono personaggi frustrati, inconcludenti, incapaci, schiavi dei vizi; quelli che Svevo ha definito “inetti”. Egli smonta l’io dei personaggi rivelandone ironicamente e, talvolta comicamente, i non semplici livelli della psiche umana. Sono personaggi di differente ceto: dai borghesi ai popolari, senza alcuna distinzione. TERZETTO SPEZZATO vede protagonista il classico triangolo: lui, lei, l’altra. La particolarità è che il marito appartiene all’altro mondo, perché defunto. E’ proprio questo il pretesto per capovolgere quella complicità che, nella vita terrena, i due amanti avevano, al cospetto della moglie e che, ora, da morto, si ritrova contro, perché l’amante di lui, arriverà ad essere complice di sua moglie proprio per una non realizzazione d’affari. LA PAROLA è una “scappatoia”, una “falsificazione” che il protagonista, Silvio, utilizza per coprire un ipotetico e non chiaro adulterio. La donna del misfatto però non compare. Ipocondria, denaro, eredità, rapporti familiari, sono il fulcro che vanno a svilupparne l’intreccio e il carattere dei protagonisti. LE IRE DI GIULIANO è la commedia della psicanalisi per antonomasia. Tutto sembra innescarsi per una serie di espressioni “negative” del personaggio Giuliano, ma questi arriva già analizzato: egli è già consapevole, già si è conosciuto, confrontato, e il suo atteggiamento, apparentemente “da cattivo” e che lui giustifica, poi scusandosi, come “una vampata di sangue alla testa” è volutamente messo in atto per ottenere una caduta della maschera comportamentale degli altri protagonisti.
Un Dio in mutande
TeatroUn Dio in mutande – 2009
di Claudio Calafiore
Liberamente tratto da ANFITRIONE di Plauto
E’ un’opera liberamente adattata dell’Anfitrione di Tito Maccio Plauto, scritta nel III sec. a.C. e prende il nome del protagonista, Anfitrione, generale tebano, che significa “gentile ed ospitale padrone di casa”. E’ l’unica commedia di Plauto a soggetto mitologico; tra i protagonisti, infatti, vi è il capo degli dèi, Giove, e risente molto dell’influenza del modello greco. Importante è il continuo gioco tra verità e finzione, e soprattutto c’è la “doppia” presenza dei personaggi: Anfitrione e Sosia, il suo servo. E’ la commedia della beffa che nasce quando Giove, innamoratosi della moglie di Anfitrione, la bella Alcmena, sostituendosi al marito, ne prende il suo aspetto, proprio la notte prima che il generale ritorni dalla guerra contro i Teleboi e, congiungendosi a lei la renderà gravida. Da questa unione nascerà un figlio: il mitico Ercole. L’intreccio è ricco di colpi di scena, in una mirabolante sequenza di lazzi che porteranno Anfitrione ad accettare di buon grado l’adulterio. Il movimento e la recitazione sono divertenti, frenetici, ammiccanti, giocosi; capaci di trascinare lo spettatore, in un vortice di emozioni tale da lasciarlo, al termine, stordito e soddisfatto. La messinscena nasce, sia per la linea registica sia per la visione estetica, da una nostalgia adolescenziale dell’autore-regista, Claudio Calafiore, quando la televisione era ancora in bianco e nero. Come nel leggere un libro, s’immaginavano i volti dei personaggi e i luoghi in cui si muovevano così, grazie alla fantasia, riempivamo di colori ciò che colore non aveva. Si pensi alle parodie del Quartetto Cetra, alle commedie di Garinei e Giovannini: “Un trapezio per Lisistrata” o “Giove in Doppiopetto”, anch’essa liberamente tratta dall’Anfitrione di Plauto. Così, nell’ideare Un Dio in Mutande, si è cercato di ricreare quella vitalità, quella freschezza, quelle immagini, quella scenografia, costumi ed oggetti tutti in tonalità di grigio: il “bianco e nero” della TV degli anni ’60. Interpreti ne sono lo stesso Claudio Calafiore, nei panni di Anfitrione, Andrea Ferrari in quelli di Giove, Graziano Degani è Sosia, mentre Alcmena è interpretata da Donatella Merli.
Otto donne
TeatroOtto donne – 2007
di Robert Thomas
In una solitaria villa di campagna, si consuma un delitto. A causa di una forte nevicata, i presenti rimangono bloccati nella tenuta agreste, senza telefono. Si tratta di otto donne, che hanno, tutte, qualche relazione con il cadavere: la cameriera, la moglie, l’amante, le due figlie, la sorella, la suocera e la cognata. Tutte avevano una motivazione per uccidere l’unica figura maschile dell’opera. Le otto protagoniste sono obbligate a compararsi con il lato oscuro della loro personalità, con i vizi, le ambizioni, troppo spesso taciute per il quieto vivere borghese. L’omicidio dell’unico maschio della famiglia, peraltro mai visibile, rappresenta un terreno ideale per creare la giusta atmosfera menzoniera, fatta di inganni, tradimenti, appiedando i legami di parentela. Inizia così un vero e proprio gioco al massacro con accuse reciproche, giochi psicologici, con divertenti siparietti, al fine di trovare e smascherare l’assassino. Questa situazione fa venire a galla le relazioni nascoste che c’erano all’interno della famiglia, con grande stupore delle protagoniste, che si trovano, a rotazione, ad essere potenzialmente l’assassino. Come nelle più nobili tradizioni del giallo, anche in quest’opera, si recuperano gli espedienti alla Agata Christie e di Alfred Hitchcock, ma con un elemento in più: tradimenti e menzogne superano il buon sentimento umano. La personalità distorta e “cattiva” di ognuno di noi, qui è portata a livello esponenziale.
La malata immaginaria
TeatroLa malata immaginaria – 2008
di Andrea Ferrari
Tratto da “Il malato immaginario” di Molière
Elaborato e tradotto al femminile, “Il malato immaginario” è stato l’ultimo lavoro teatrale scritto da Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, commediografo ed attore francese, al servizio di Sua Maestà, Luigi XIV, il re Sole. E’ una commedia di costume dove affiorano osservazioni reali, concrete della vita; fu scritta in un momento di grave depressione dell’autore. Malgrado il suo gradiente di comicità, appare come l’intensa, tristissima testimonianza di un pessimismo amaro ed introverso. Il gioco del ridicolo e del patetico, al tempo stesso, emerge con toni improvvisi, a tratti quasi stonati, distaccati, ma che fanno accrescere la personalità di Manfuria, la ricca “malata immaginaria”. Ella appare come un mostro idiota, ignorante, schiava della medicina del tempo, incarnata nella figura della dottoressa Purgona, pronta a sacrificare le figlie Angelica e Luigina, alla propria paranoia, e che pone la massima attenzione nello spuntare il conto del farmacista Fleurant. Non avrà nulla da obiettare quando la serva Tonina, travestita da medico, le dirà di avere novant’anni, o quando la sorella Beralda le propone una laurea in medicina. Non vede la perfidia della cugina Belina, pronta a derubarla dei suoi denari servendosi di una maldestra e alquanto figura notarile: la signora Bonafé. Non percepisce l’appariscente dichiarazione d’amore del giovane Cleante verso la figlia Angelica. Accetta la stupidità dei Diafoirus, madre e figlio, ma soltanto perché incoronati entrambi da una laurea in medicina; ma cosa ben più grave è l’atteggiamento di ingenuità che Manfuria assume di fronte alla figlia più piccola che arriverà a fingersi morta pur di non essere punita e percossa dalle frustate della madre.
E’ un’opera d’avanguardia assoluta, dai contenuti estremamente attuali: la psicosomatica, l’ipocondria, la patofobia: la scienza psicologica muoverà i primi passi tre secoli più tardi!
La commedia debuttò il 10 Febbraio 1673, a Parigi, e per protagonista aveva lo stesso Molière che vestiva i panni di Argante il “malato immaginario”. Una settimana dopo, era in programma la quarta replica e sul finale, durante l’investitura da medico, Molière fu colto da malore, ma portò ugualmente a termine lo spettacolo. Morì poche ore dopo, all’età di 51 anni. Era venerdì 17 Febbraio.
Ciao Gaber – 18 giugno 2019
EventiCiao Gaber!
Omaggio a Giorgio Gaber
Con Andrea Ferrari e il maestro Vincenzo Murè (tastiere ed effettistica).
18 Giugno 2019, ore 21,15
Piazza XX Settembre – Modena
In caso di pioggia, l’evento sarà recuperato giovedì 20 giugno
Ingresso gratuito