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Mastro Don Gesualdo
TeatroMastro Don Gesualdo – 2014
di Giovanni Verga
La Mandragola
TeatroLa Mandragola – 2012
di Niccolò Macchiavelli
Commedia delle beffe e dei beffati, libera dai contenuti dell’epoca classica, ma che ne imita abilmente la forma, è La Mandragola di Niccolò Machiavelli. L’autore, utilizza il prologo per la presentazione dell’opera ma rinuncia ai fortunati espedienti drammaturgici inventati dal repertorio plautino. L’azione di quest’opera si svolge in modo semplice e lineare, presentando i caratteri con estrema efficacia. La Mandragola fu recitata a Roma nell’aprile del 1520, e due anni dopo fu ripresa a Venezia. Per una rappresentazione che doveva svolgersi nel 1526 Machiavelli scrisse anche canzoni per pastori e ninfe da eseguire all’inizio dello spettacolo e negli intervalli tra gli atti: un preludio al Masque di Ben Jonson. In origine l’opera fu pubblicata col titolo Commedia di Callimaco e Lucretia e contava, e conta ancora, cinque atti: L’adattamento eseguito per l’occasione è di due atti. Nulla in questo arrangiamento, però, è andato perduto o tralasciato, anzi, la messinscena illustra e ne fa scaturire la minuzia nel descrivere ancora di più il carattere dei personaggi nelle loro azioni. Alla base di tutto c’è l’amore: il sentimento più alto, più profondo che l’uomo conosca. Una seduzione di un giovane fiorentino, Callimaco, che s’innamora di Lucrezia, una fanciulla maritata a Nicia, un ricco vecchio, incapace di darle figli. Questo amore deve essere raggiunto, esplorato, vissuto e consumato con qualsiasi mezzo: beffe, inganni, menzogne, travestimenti, finanche all’utilizzo dei religiosi. E’ proprio nella figura di Frate Timoteo che il Machiavelli incarna il religioso in commedia: il carattere, forse, più divertente dove si va a sviluppare una storia in parallelo con le monache del convento. Lo stesso Shakespeare, più tardi, ai religiosi attribuirà ruoli importanti e drammatici: pensiamo a Frate Lorenzo in Romeo e Giulietta, ma anche tre secoli dopo, al don Abbondio del Manzoni. Altrettanto piacevole è la scaltrezza dei servi, Siro e Ligurio, che manovrano tutto l’apparato degli eventi; oppure della famiglia di Lucrezia con la madre Sostrata, la sorella Disgrazia e la nipote Pigrizia: quest’ultima rappresenta il giovane moderno. C’è un umorismo che scaturisce dalla sofferenza del vecchio Nicia, disposto a tutto pur di ritrovare la vitalità sessuale che gli permetterebbe di ingravidare la giovane moglie: dall’imparare a parlare correttamente l’italiano, grazie a una losca figura di una Pedagoga, finanche a credere e accettare che Lucrezia pur di rimanere incinta, bevendo una pozione di Mandragola, erba dai poteri prodigiosi ma venefici, possa congiungersi con un giovane che poi, secondo credenza, dovrà perire, immolandosi all’amore della coppia stessa. Una trama ricca di sottili astuzie e cavilli tipici dello stile machiavellico. L’adattamento ne vede anche una conversione in versi.
La Moscheta
TeatroLa Moscheta – 2012
di Angelo Beolco detto Il Ruzzante
Il contadino Menato vuole riprendersi l’ex amante Betìa, ora moglie di Ruzzante ma invaghita del soldato Tonin. Betìa respinge Menato risolutamente ammettendo però, che qualora il marito provasse a maltrattarla, lei lo lascerebbe. Ruzzante, intanto, s’è intascato dei soldi affidatigli da Tonin, facendogli credere di essere stato derubato. Manato insinua in Ruzzante il tarlo della gelosia verso Betìa e gli consiglia di travestirsi da “cittadino” e parlare in modo forbito, in “moscheto” per corteggiarla e vederne la fedeltà. La donna non riconoscendo il marito si dichiara disposta a cedere allo pseudo spasimante, scatenando così l’ira di Ruzzante. Questi compreso l’errore fatto con Betìa, la perdona e cerca di imbrogliare Menato tenendosi il vestito “alla spagnola” servitogli per gabbare la moglie. Costei si vendica dell’offesa ricevuta dal marito rifugiandosi da Tonin e rifiutandosi di tornare a casa. Ruzzante disperato restituisce a Tonin il denaro sottrattogli con la frode, ma in uno scatto di orgoglio chiede a Tonin la restituzione dei soldi che gli ha dato in cambio di Betìa, minacciandolo in armi ma senza successo. Durante la notte, Ruzzante e Menato, armati, cercano di tendere un agguato a Tonin che, nel frattempo, è sgattaiolato in casa da Betìa. Menato, deciso a farla sua, entra di soppiatto in casa della donna, lasciando Ruzzante solo ad aggirarsi terrorizzato nelle tenebre. Ruzzante riesce a ritrovare la via di casa ma è pestato da Menato. Ruzzante pur di tornare alla normalità domestica, accetta di far pace con Tonin e Menato che, d’ora in poi, per volontà di Betìa, si sono installati in casa, e lei potrà goderne di entrambi.
Sarto per signora
TeatroSarto per signora – 2009
di Georges Feydeau
Sarto per signora è del 1887 e sorprende scoprire che, Georges Feydeau, lo scrisse a soli 24 anni: ha rappresentato il suo esordio come drammaturgo. Feydeau era figlio di un’agiata e colta famiglia parigina: il padre era amico di Flaubert, la madre era una bellissima donna polacca che, si dice, fosse stata amante di Napoleone III. Il giovane Feydeau si impiegò come segretario di un teatro, dove ebbe modo di apprendere la scrittura teatrale e, pertanto, debuttare giovanissimo. In Sarto per signora c’è già tutto l’estro e lo stile di Feydeau: la trama è basata sul classico triangolo adulterino: lui, lei, l’altro o l’altra, ma soprattutto, quello che non manca mai, è il concentramento di tutti i personaggi in un solo luogo, dove si incontrano tutti quelli che non si sarebbero mai dovuti incontrare: mariti, mogli, amanti, amanti dei mariti, amanti delle mogli. Questo è il segreto e la forza di Feydeau. La sua produzione di opere, tutte da ridere, è uno specchio deformato del suo tempo: la Bella Epoque, di quel periodo privo di preoccupazioni, e che sfociò, poi, tragicamente, nella Grande Guerra. Feydeau era un formidabile battutista, come devono essere i veri commediografi. Al centro di molte opere di Feydeau c’è la coppia coniugale, in cui si consumano tradimenti, ipocrisie e malintesi. Anche in Sarto per signora, il bugiardo Dott. Moulineaux prima si giustifica con delle scuse con la moglie Yvonne per aver passato la notte fuori casa, poi cerca di tradirla con Susanna, la moglie del generale Aubin. Le dà appuntamento in un dismesso atelier sartoriale che gli è stato affidato da un amico, Bassinet, per le sue scappatelle e, a causa di una porta che non si chiude, i due amanti vengono scoperti. A Moulineaux non rimane altro che fingersi sarto con conseguente inizio di una serie di episodi paradossali che vengono portati avanti fino alle estreme conseguenze. L’irresistibile comicità di Feydeau nasce dal dialogo serrato e dalle battute brevi e pungenti dei personaggi, ma anche dalle situazioni irreali che derivano da equivoci e malintesi.
Le preziose ridicole
TeatroLe preziose ridicole – 2012
di Molière
Saggio finale allievi 3° anno laboratorio di Didattica Teatrale.
Commedia in un atto, in prosa, rappresentata al teatro del Petit-Boubon il 18 novembre 1659 che ebbe fin dal suo primo apparire un successo straordinario. Le preziose ridicole è un’opera che rivela l’estro e la genialità comica di Molière come autore del superamento del grande fenomeno della Commedia dell’Arte. Per sviluppare la sua comicità sceglie di attaccare il suo tempo: la preziosità del barocco e l’abuso della raffinatezza. Magdelon e Cathos sono due cugine che arrivano a Parigi per scoprire il mondo aristocratico. Vengono avvicinate da due gentiluomini, La Grande e Du Croisy, che però allontanano con fare snob, poiché non hanno i modi raffinati dell’aristocrazia, ritenendoli volgari e poco raffinati. Quando i due capiscono che le ragazze sono in realtà delle provinciali, travestono due loro servi da marchese di Mascarille, elegante, falso e buon parlatore, e visconte di Jodelet, serio uomo d’armi. Con il loro linguaggio prezioso, le loro ridicole galanterie e le invenzioni più smaccate i due finti galantuomini conquistano facilmente il cuore delle fanciulle che ne sono estasiate. Mascarille e Jodelet vogliono infine offrire un ballo alle loro innamorate ma Du Croisy e La Grange, pensando che la farsa sia durata abbastanza, cacciano i servi a suon di legnate, lasciando le due preziose confuse e piene di vergogna. Con Le preziose ridicole Molière volle colpire non il vero preziosismo, sempre degno di rispetto, ma le ridicole e pericolose esagerazioni delle farse preziose, rivendicando il buon senso, la naturalezza, la spontaneità del sentimento. La commedia che pur presenta ancora la struttura di una farsa con intrigo tenue e semplice, gaiezza e comicità spesso grottesca dei personaggi, è d’altra parte la prima vera commedia di costume di Molière, nella quale è messa in scena quella società parigina in cui gli spettatori stessi potevano riconoscersi: commedia di costume oltre che di particolare interesse sociale.