Il giovane Eyolf – 2014
di Andrea Ferrari
Liberamente tratto da “Il piccolo Eyolf” di Henrik Ibsen
Saggio allievi 3° anno laboratorio di Didattica Teatrale
Henrik Ibsen, scrittore e drammaturgo norvegese, nato a Skien nel 1828 e deceduto a Oslo nel 1906 è da ritenersi tra i maggiori compositori di testi teatrali: precursore e fondatore del teatro contemporaneo, la sua arte si articola nel conflitto tra l’astratto e la realtà, in confronto con la falsità della società. Le sue opere si diversificano per una tristezza di fondo derivante da un esame intimo e tormentato dell’animo umano e delle sue incoerenze.
Il piccolo Eyolf è del 1894 tradotto e rivisitato per l’occasione col titolo de Il giovane Eyolf, rispetto all’originale è stato aggiunto un personaggio: Katrine, sorella di Mr. Borgheim.
L’opera narra la vita dello scrittore Alfred Almers, di sua moglie Rita e del loro figlio: Eyolf, di vent’anni (nove anni nell’originale). Almers ha sposato Rita per ambizione e desiderio di benessere, tradendo le aspettative della sorellastra Asta, inconsciamente attratta dalla sua personalità apparentemente forte. Alfred, come altri personaggi di Ibsen, è una “cipolla vuota di sostanza”, un individuo in cui gli orpelli culturali hanno sostituito gli impulsi vitali. La crisi matrimoniale porta Almers al punto di lasciare la sua attività di scrittore per dedicarsi esclusivamente all’educazione di Eyolf, che una caduta ha reso storpio dalla nascita. Eyolf annegherà nelle fredde acque del fiordo antistante la loro casa, togliendo l’ultima ragione di vita e di sostegno per Alfred. Il fiordo è simile a un sepolcro: fiordo significa approdo, anche nel significato di morte. Vagamente responsabili della dipartita del giovane sono entrambi i genitori: anche Rita, che aveva sposato Alfred per passione e che non ha mai sopportato che il figlio potesse “rubarle” il marito: è talmente frustrata sul piano sessuale che trova perfino in Eyolf un ostacolo per i propri fini. Alfred vorrebbe tornare a vivere con la sorellastra, ma Asta, corteggiata da Mr. Borgheim, un ingegnere risoluto che cerca di trascinarla in un suo progetto, nel frattempo scopre di non avere legami di sangue con Alfred e fugge di casa. In realtà Asta fugge da se stessa e da Alfred, e dall’ambiguità del loro antico rapporto di fratelli, ora illuminato da un senso nuovo dalla rivelazione. In questo dramma si trovano molte inverosimiglianze e oscurità. Più significativo dell’intreccio coniugale è il tono di nostalgia dell’aldilà, sviluppato in questo adattamento. Personaggio ambiguo e interessante è la Vecchina dei Topi, di alto segno espressionistico. Ella porta con sé un sacco che contiene un cane per dare la caccia ai topi ed è il personaggio–lampada che illumina tutto il dramma. È lei che toglie veli ai segreti dei personaggi, ma senza risolvere. Il topo è preda e predatore, emblema del circuito dell’angoscia, e che simbolicamente rappresenta i morti che sono sulla Terra. La vecchina soccorre i topi, li riscatta dall’atrocità del vivere-morte dentro la trappola terrena, e li affida alla morte delle fredde acque restituendoli pietosamente al grande mare dell’essere. Così come è tornato alla madre-acqua il giovane Eyolf, il cui corpo non sarà mai trovato, a ribadire l’estremo inganno. Di lui, altro segno simbolico, rimane solo la stampella a galleggiare sulla superficie del fiordo.
Ibsen mette in scena l’ambiguità e la moltiplica all’infinito attraverso il gioco di specchi: Eyolf è il segno della colpa, ma anche del riscatto. Deve morire perché i genitori, attraverso il dolore, possano apprendere a vivere diversamente e almeno tentare una possibilità di accordo con il mondo.