TAQ – Turbolenze ad Alta Quota – 2013
di Autori Vari.
Indagine teatrale sulle violenze alle donne
Il titolo di questo spettacolo, promosso dall’Associazione Anfitrione con il Patrocinio dell’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Modena, è un acronimo che richiama l’indagine diagnostica utilizzata in medicina, cioè la TAC al fine di rilevare con gli strumenti dei testi teatrali, qual è lo stato di salute del rapporto uomo-donna. Questo è il punto di partenza: tenendo ben presente che non è solo rapporto fisico: e la TAC fa ben poco nel diagnosticare i sentimenti: un’indagine strumentale ancora non c’è che entri nella nostra anima: e per fortuna, mi viene da dire.
Nello stesso tempo ho usato un’allegoria rubata all’aeronautica: le parole Turbolenze, e Alta Quota.
Diverse possono essere le chiavi di lettura: certamente Turbolenza è sinonimo di Violenza, mentre Alta Quota può avere semantiche differenti:
L’Alta Quota è un mondo che non appartiene all’uomo: abbiamo tentato di conquistarlo, da Ícaro, passando dai fratelli Montgolfier, Wright, Zeppelin fino alle più moderne tecnologie, con non pochi incidenti, che sono ancora in corso e che continueranno a verificarsi: ma l’Alta Quota non è insita dell’uomo, pertanto, questi dev’essere consapevole dei rischi che corre. È un mondo che abbiamo voluto conquistare per la tecnologia, lo sviluppo, il benessere.
I due mondi contrapposti sono proprio l’uomo e la donna. Uno va alla conquista dell’altro.
Ed è di questi due mondi che la Natura si serve per mandare avanti la specie: e non guarda in faccia a nessuno. La Natura non ha sentimento: ha una sua intelligenza che non corrisponde a quella umana. Utilizza gli strumenti della chimica, dell’ormone, del sesso purché il genere umano proceda: e non gliene importa niente se poi il risultato sono bambini non sani, morti o sfocino in violenze efferate. A Lei questo non interessa più: a Lei interessa che uomini e donne s’incontrino per procreare e l’ha fatto offrendo loro uno strumento di piacere, difficile da ammaestrare e controllare.
Ed è su questi due mondi differenti che sono sorte tutte le discipline, le scienze che noi conosciamo, che hanno cercato e cercano di dare risposte.
E dell’Alta Quota se è vero che abbiamo voluto conquistarla, è anche vero che, proprio perché non ci appartiene, ce ne freghiamo:
È qualcosa che non mi riguarda, è lontana: leggo i giornali, guardo la TV, assisto ai drammi, ma una volta chiusa la pagina o spento l’apparecchio, quel dramma non è più mio. Non è mai stato mio. Non mi capiterà mai una cosa del genere: povera gente.
Poi, a volte, gli altri siamo noi: ci siamo noi su quelle pagine: ci siamo noi davanti a quelle telecamere: tutti ci leggono, tutti ci guardano, tutti chiudono la pagina, tutti pigiano OFF.
Anche il Teatro ha dato il suo contributo: fin dalla sua nascita, in epoca classica, descrivendo fatti efferati e personalità abominevoli: mamme che uccidono figli, figli che uccidono genitori, genitori che si cibano di carne dei figli. Questo a testimonianza che, dacché esiste l’uomo, come genere, esistono le violenze e le sopraffazioni. Non c’è nulla di nuovo se non la forza dei mezzi di comunicazione che amplificano e a volte danneggiano gli eventi.
La chiave di lettura di questo spettacolo non è drammatica né comica: semmai umoristica, cioè il sapere leggere oltre al dramma per scorgere uno spiraglio di speranza, semmai ci fosse.
Credo che non debba sempre essere la psichiatria, la psicanalisi, la psicologia, la filosofia, a risolvere i problemi dell’uomo. Si è perso, un po’, quel sano istinto di auto conservazione. Forse la colpa è da ricercare in quella sala parto che ci ha visto nascere: quando si esce dal ventre della propria madre, davanti a quella vagina c’è un gruppo di persone pronte ad accoglierti e aiutarti, come se avessero bisogno di nuovi alleati: ti tirano fuori con la forza! Come se: più siamo più c’è la possibilità che la sfiga non veda me ma veda te! Ma la sfiga ci vede benissimo!
Eppure, là, in quella sala parto, che non ho mai capito perché si chiama sala parto se ci sono solo dei nuovi arrivi, quella vagina è sventrata.
E allora utilizziamo le parole branco, mostro per identificare la violenza: ma il branco e il mostro non appartengono al genero umano: uno è animale, l’altro è fiabesco!
Forse, è solo nella Natura e nelle Fiabe che l’uomo riesce ancora a salvare se stesso. C’era una volta…
Andrea Ferrar